Le cause dell'umidità esistente nel chiostro sono
in sostanza riconducibili a quattro, che interagiscono però profondamente
tra loro:
a) Trasformazioni edilizie
Almeno nel XIII secolo i corridori del chiostro avevano
un solo piano, mentre i corpi di fabbrica perimetrali est e sud erano
meno alti di quelli attuali. L'area scoperta del chiostro fu dunque proporzionata
tenendo conto di queste caratteristiche volumetriche. Le sopraelevazioni
successive hanno trasformato tale area scoperta in una sorta di 'pozzo'.
Le conseguenze che ne derivano all'interno del chiostro sono una cattiva
circolazione d'aria e un soleggiamento estremamente ridotto, che su alcune
superfici quali quelle meridionali è in pratica inesistente.
b) Variazioni di quota dei piani di calpestio
I rilievi e i sondaggi effettuati hanno rivelato che
rispetto all'epoca della costruzione del chiostro i livelli pavimentali
e del piano di campagna di tutta la zona sud del complesso sono stati
consistentemente rialzati, ma non in uguale misura.
In particolare va osservato che tutta l'area circostante,
oggi occupata dal giardino della clausura, è rialzata rispetto
agli ambienti interni; il pavimento del corpo di fabbrica meridionale
è posto un metro al di sopra dei corridori del chiostro; l'area
scoperta del chiostro è a un livello più alto dei corridori
(vedi la sezione A-A). Ne derivano due principali conseguenze:
1) i corridori sono posti al livello più basso
di tutta la zona, costituendo così il punto di maggior attrazione
dell'umidità del sottosuolo;
2) la maggior parte delle pareti della zona del chiostro
presenta la parte inferiore di una delle due facce a diretto contatto
con zone di riempimento.
Alcuni sondaggi hanno indicato che tali riempimenti sono
formati in prevalenza da terra mescolata a detriti di varia natura (vedi
le schede degli scavi archeologici); hanno pertanto un'elevata capacità
di assorbimento e trasmissione delle acque, che vanno a interessare in
maniera diretta le pareti nella zona di contatto e favoriscono una consistente
risalita capillare nel tratto di parete sovrastante. Non è un caso
che i fenomeni di degrado più consistenti siano riscontrabili sulla
parete perimetrale sud del chiostro, dove il reinterro retrostante maggiore.
I sondaggi hanno anche mostrato che solo allettamenti a base pozzolanica
di ridotto spessore separano i pavimenti dagli strati terrosi sottostanti;
la risalita capillare non trova quindi un'efficace barriera, il che giustifica
molti dei danni presenti sulle superfici pavimentali.
c) Elevata presenza di sali
Alcune analisi hanno rivelato la consistente presenza
di sali e nitrati su molte superfici del chiostro. Tale presenza è
giustificata da alcuni usi storici tipici dei monasteri: l'area dei chiostri
era riservata anche a sepolture, mentre i locali perimetrali venivano
spesso usati come depositi di derrate alimentari per la cui conservazione
si faceva largo uso di sale, o come ricoveri per animali, i cui escrementi
sono ricchi di nitrati. Quest'ultimo uso in particolare si era conservato
fino alla prima metà del XX secolo proprio nella zona meridionale
del chiostro. A ciò si aggiunge anche la pratica, rivelata sempre
dai sondaggi, ma constatata anche in altre parti del monastero, di utilizzare
per i riempimenti terra proveniente dal giardino, dove erano i principali
'butti' del monastero (immondezzai che venivano periodicamente bruciati
e ricoperti di terra). Tale terra è dunque piena di resti alimentari
parzialmente carbonizzati e ricchi di frammenti ossei.
Tutti questi fatti comportano la presenza di sali disciolti
nel terreno che veicolati dall'acqua risalgono nelle murature e si depositano
al loro interno e sulle superfici. Qui, dato il loro carattere altamente
igroscopico, assorbono altra umidità dall'aria satura per cattiva
ventilazione, dando così luogo ad un fenomeno di superfici bagnate,
acuito anche se in misura ridotta dalla condensa.
d) Elevata presenza di umidità nel sottosuolo
La collocazione del complesso sulla cima di una collina
in parte artificiale esclude la presenza di falde freatiche. Nonostante
ciò nel sottosuolo del chiostro e degli ambienti limitrofi è
presente una consistente quantità d'acqua che per risalita capillare
raggiunge le parti in elevato. La causa di tale fenomeno va pertanto ricercata
in altri fattori.
In primo luogo va considerato che il chiostro costituisce
il centro di un complesso sistema di smaltimento delle acque che vi giungono
in maniera sovrabbondante. In esso confluiscono infatti:
1) acque di pioggia che cadono direttamente sulla parte
scoperta;
2) acque di pioggia che cadono sulle falde dei tetti
che convergono verso di esso, e vi vengono convogliate tramite un sistema
di gronde e discendenti;
3) acque reflue della fontana centrale e di 12 lavelli
situati al primo piano dei corpi di fabbrica perimetrali.
La zona scoperta del chiostro è pari a mq 140
e le falde dei tetti summenzionate hanno una superficie di mq 685; nel
chiostro quindi convergono le acque di pioggia che cadono su un totale
di ben mq 825 di superficie. Poiché la piovosità media a
Roma è stimabile in 800 mm, l'afflusso totale di acqua di pioggia
al chiostro è stimabile in 660 mc/anno, cui si aggiungono le acque
reflue dei lavelli e della fontana con una portata stimata di 40 mc/anno,
con un totale di circa 700 mc/anno. Poiché inoltre gli afflussi
massimi di breve durata per Roma vengono stimati in 40 mm di pioggia in
20 minuti, si hanno momenti in cui l'afflusso istantaneo nel chiostro
raggiunge la portata molto elevata di circa 30 l/s.
Il sistema di smaltimento di questa enorme quantità d'acqua non
è nato in maniera organica e unitaria, ma è il frutto di
trasformazioni e aggiunte successive condotte spesso senza un'adeguata
progettazione o con una cattiva realizzazione. Esso quindi presenta un
funzionamento alquanto difettoso, al quale si aggiunge anche la fatiscenza
di consistenti parti dell'impianto.
Per comprendere la situazione attuale è opportuno cercare di ripercorrere
le fasi di trasformazione di tale sistema.
Come avveniva nella maggior parte dei casi, inizialmente l'acqua che cadeva
sui tetti che circondavano il chiostro veniva probabilmente raccolta per
essere utilizzata come riserva idrica all'interno del monastero. Al posto
della tradizionale cisterna collocata nel centro dei chiostri, in questo
caso si trova una sorta di pozzo profondo 10 metri, spostato verso il
lato sud e disposto in diagonale rispetto alle strutture sovrastanti.
Esso fu scoperto da Muñoz, e dopo che se ne era persa traccia,
è stato rimesso in luce con un apposito saggio (vedi schede dei
saggi archeologici, saggio I). Il fondo del pozzo era precedentemente
pavimentato con elementi marmorei, come si evince dalle tracce esistenti
e dalla notizia fornita dallo stesso Muñoz che nel suo pavimento
era inserito il frammento dell'epigrafe damasiana (R.A. 261) oggi sulla
parete est del chiostro. Attualmente il piano pavimentale appare sfondato,
e il fondo è costituito da uno strato geologico di tufo (cappellaccio)
spianato, che si abbassa verso ovest.
La posizione e la conformazione particolare di questo pozzo-cisterna possono
essere spiegate con la volontà di recuperare dei muri di epoca
romana esistenti in situ e dotati di un diverso orientamento.
Oggi non sembra possibile sapere come potessero confluirvi le acque, ma
nei saggi effettuati nell'area scoperta del chiostro si può notare
una grande quantità di detriti provenienti dalla demolizione di
un massetto pavimentale originariamente rivestito di mattoni. E' possibile
quindi ipotizzare che il chiostro fosse pavimentato e grazie a opportune
pendenze l'acqua piovana defluisse verso il pozzo-cisterna.
Negli stessi saggi, mescolati ai frammenti del massetto sono stati trovati
materiali ceramici relativamente moderni (XVIII-XIX secolo) che potrebbero
indicare che la trasformazione dell'area scoperta in giardino è
avvenuta in un'epoca abbastanza recente.
Forse in rapporto con una sistemazione a giardino che ha preceduto quella
attuale era un sistema di convogliamento delle acque oggi in disuso, parte
del quale è stata individuata nel saggio condotto nell'angolo sud-ovest
del chiostro (cfr. saggio VII): si tratta di un canale di sezione rettangolare
costituito da laterizi che passa nell'area scoperta in aderenza al muro
ovest e con una leggera deviazione verso est si infila in un varco aperto
a scasso nel muro sud delle arcatelle, per collegarsi con un analogo canale
che corre parallelamente al lato sud. Quest’ultimo sembra dirigersi verso
il corpo di fabbrica ovest. Con ogni probabilità raggiunge il fronte
di via dei Querceti, dove nella parete si nota un foro con tracce di scolo
di acque. Tale scarico, soprattutto se per esso passavano le acque della
zona del chiostro, deve aver costituito una delle fonti di umidità
che ha alimentato la grande macchia triangolare su via dei Querceti, il
cui vertice infatti si colloca sopra lo scarico.
Dopo i lavori di Muñoz questo sistema risulta disattivato, ma sembra
che i canali per quanto riempiti di terra abbiano mantenuto una loro attività
incanalando parte dell'acqua che confluisce nel sottosuolo.
Questa comunque da sola non sembra giustificare la persistenza dell'umidità
sul prospetto di via dei Querceti. Ma al venir meno di una causa se ne
è aggiunta un'altra. Nel 1970 circa infatti è stato posto
un discendente che veicola l'acqua di una porzione del tetto del corpo
di fabbrica ovest direttamente sul terreno proprio nello stesso punto
dello scarico antico.
Prima dell'intervento di Muñoz già esisteva
un sistema di gronde e discendenti che riversava le acque provenienti
dalle falde delle navate e del transetto della basilica rivolte verso
il chiostro sul tetto del corridore nord da dove cadevano liberamente
sull'area scoperta. Forse un analogo sistema era stato adottato per i
tetti dei corpi di fabbrica perimetrali, come sembra evincersi da una
fotografia del 1914.
Muñoz collocò i quattro discendenti tutt'ora presenti agli
angoli dell'area scoperta e in essi fece confluire sia le acque raccolte
dal sistema esistente sia quelle delle falde dei tetti dei loggiati sovrastanti
ai corridori.
Tali discendenti versano in quattro pozzetti non ispezionabili, da dove
le acque attraverso canali di mattoni confluiscono prima in una piccola
camera di raccolta e di qui nel pozzo-cisterna. Anche l'acqua della fontana
segue lo stesso percorso.
Nel pozzo-cisterna le acque si accumulano per diverse ore, o anche giorni
nel caso di piogge intense, per essere smaltite probabilmente a dispersione
da un sottosuolo di caratteristiche sconosciute.
Questo sistema, cui successivamente furono collegati gli scarichi dei
lavelli, presentava sin dall'origine notevoli difetti.
In primo luogo una volta raggiunto il sottosuolo le acque seguono percorsi
non ispezionabili. In secondo luogo i canali e i pozzetti sono sottodimensionati
e di pessima fattura. La pressione dell'acqua, come hanno rivelato i saggi
e le ispezioni, ha determinato falle con consistenti perdite nel terreno.
In particolare il pozzetto dell'angolo sud-ovest messo a nudo dallo scavo
era gravemente danneggiato e perdeva al disopra del canale antico che
in qualche modo recuperava la sua antica funzione trasferendo acqua al
di sotto del corridore sud.
Nonostante siano documentate ripetute sostituzioni e aggiustamenti, le
gronde e i discendenti sono di sezioni inadeguate nel caso di piogge intense
e in particolare il discendente dell'angolo nord-ovest che raccoglie anche
le acque dei tetti della basilica, non riesce a contenerne la portata,
tracimando e determinando un dilavamento che ha danneggiato anche la decorazione
dei sottarchi.
Muñoz infine mantenne la trasformazione a giardino dell'area scoperta
del chiostro, ma non ne previde un drenaggio, con un conseguente passaggio
dell'acqua piovana attraverso il sottosuolo da essa direttamente ai corridori
posti per di più a una quota inferiore.
A peggiorare la situazione nel 1970 i vialetti di ghiaia disegnati da
Muñoz furono sostituiti con percorsi pavimentati in cubetti di
porfido, per formare una pavimentazione impermeabile che con opportune
pendenze permette di convogliare le acque che cadono sui percorsi stessi
in quattro caditoie a loro volta collegate con tubazioni di cemento al
sistema che conduce alla cisterna. In questo modo l'acqua piovana, cui
si aggiunge quella delle annaffiature giornaliere, penetra nel sottosuolo,
ove si unisce a quella proveniente dalle perdite del sistema di smaltimento
e si diffonde anche al di sotto della zona pavimentata. Questa però
a causa dell'impermeabilizzazione dei giunti non permette la traspirazione,
cosicché l'umidità migra verso le pareti esterne dei corridori
e al di sotto di essi.
Per capire le possibilità di razionalizzare il
sistema di smaltimento è stata svolta un’indagine sul sistema fognario
Il monastero si connette al sistema fognario comunale attraverso sei allacci:
quattro su via dei Ss. Quattro Coronati e due su via dei Querceti. Di
questi ultimi due, quello che riguarda gli scarichi provenienti dalla
zona meridionale del complesso è stato realizzato nel 1970 circa.
Le acque scure dei bagni dell’area del chiostro in un pozzetto collocato
nel giardino a sud della biblioteca, che tramite gallerie sotterranee
è collegato a un secondo pozzetto a una quota molto inferiore,
localizzato alla base della torre sud-ovest.
© 1999 Coordinamento Monica Morbidelli
© 1999 Altair 4 Multimedia
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